Pensiero della XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Siracide 27,30-28,7
Salmo 102
Romani 14,7-9
Matteo 18,21-35

Un perdono gioioso, illimitato e generoso

Il testo di Jesus ben Sira, noto nella tradizione greca e latina con il nome di Siracide, è redatto da un maestro del II sec. a.C., che potrebbe essere definito un “conservatore illuminato” che si apre alle esigenze di una società in evoluzione. Egli ci dice che il rancore e l’ira verso il fratello diventano come uno schermo che interrompono anche il dialogo con Dio. San Paolo conclude la lettera ai Romani, suo capolavoro teologico, affermando che il perdono fraterno scaturisce dalla morte e risurrezione di Gesù, che libera l’uomo dall’egoismo. Nel Vangelo di questa domenica, Pietro chiede a Gesù: “Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Mt18,21-22). Poi Gesù vuole illuminare Pietro e tutti noi con una parabola. Il cuore della parabola è l’indulgenza che il padrone dimostra verso il servo con il debito più grande. L’evangelista sottolinea che “il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare, e gli condonò il debito” (Mt18,27). Un debito enorme, dunque un condono enorme! Ma quel servo, subito dopo, si dimostra spietato con il suo compagno, che gli deve una somma modesta. Il padrone viene a saperlo e, sdegnato, richiama il servo malvagio e lo fa condannare (cfr vv.32-34): “Io ti ho perdonato tanto e tu sei incapace di perdonare questo poco?”. Gesù non ignora la fatica che si fa a perdonare. Per riconoscerlo basta essere stati vittime di una calunnia, di un’ingiustizia, di un tradimento, di un’infedeltà. Eppure nonostante tutto, Gesù ci chiede di perdonare. Ma perché? C’è una prima ragione, chiara: Siamo tutti peccatori e Dio continua a perdonarci. Anche se l’abbiamo fatta grossa…Ma c’è una seconda ragione altrettanto forte. Gesù ha perdonato fino in fondo, anche a coloro che lo hanno condannato a una morte ingiusta e crudele sulla croce. E c’è una terza ragione spesso ignorata: il perdono fa bene. Fa bene a chi lo riceve, ma anche a chi lo offre. E’ quanto ha confessato, in un recente libro (La crepa e la luce, Mondadori), Gemma Calabresi, rimasta vedova a venticinque anni, con due bambini piccoli e un terzo nella pancia, dopo che le brigate rosse le avevano assassinato il marito. “Si può vivere una vita d’amore anche dopo un dolore lacerante. Si può credere negli esseri umani anche dopo averne conosciuto la meschinità. Si può trovare la forza di cambiare prospettiva, allargare il cuore, sospendere il giudizio. Scrivo questo libro per lasciare una testimonianza di fede e di fiducia. Per raccontare l’esperienza più

significativa che mi sia capitata nella vita, quella che le ha dato un senso profondo: perdonare”.

Preghiera: O Maria, Madre di Dio e Madre nostra, aiutaci a renderci conto di quanto siamo debitori verso Dio, e a ricordarlo sempre, così da avere il cuore aperto alla misericordia e alla bontà.

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