Pensiero della Trentesima Domenica del Tempo Ordinario

Siracide 35,15-17.20-22
Salmo 33
2Timoteo 4,6-8.16-18
Luca 18,9-14


Quando mettiamo “io” al posto di “Dio”
La liturgia della Parola di questa domenica continua la riflessione sul tema della preghiera. Nella prima lettura tratta dal libro del Siracide, un’opera del 190 a.C., espressione della teologia e della pietà del Giudaismo fedele, è presentata l’autenticità della vera preghiera. Dio ascolta la voce del povero e dell’umile. Termina oggi la lettura della lettera di Paolo a Timoteo. L’apostolo in un saluto commovente, considerato uno degli ultimi suoi testamenti, ripone la sua fiducia, non nelle opere da lui compiute, ma unicamente nella grazia di Cristo, che non l’ha mai abbandonato. Gesù nel Vangelo ci presenta la parabola del fariseo e del pubblicano “per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri. La preghiera del fariseo è ineccepibile nella forma, anzi contiene l’elenco dei meriti di un’esistenza corretta e rispettata: “io prego…io digiuno…io pago…io sono un giusto…”; non benedice Dio per le sue opere, ma si vanta delle proprie. E inoltre disprezza e offende gli altri: “O Dio ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano” (Lc 18,11). Il fariseo prega, ma come rivolto a sé stesso. E’ lui il protagonista di tutto, è il suo “io” che vuole emergere a danno degli altri, e Dio in fondo è solo un burocrate: prende nota, registra e approva, secondo lui. “Invece il pubblicano, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore!” (Lc18,13). Si prega non per ricevere, ma per essere trasformati. Il fariseo non vuole cambiare, non ne ha bisogno, è a posto, sono gli altri che sbagliano…Il pubblicano invece non è contento della sua vita, e spera e vorrebbe riuscire a cambiarla e diventa preghiera con tutto sé stesso, batte le mani sul cuore e ne fa uscire parole di supplica verso Dio. Dice Gesù: “Questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato” (Lc18,14). Il pubblicano tornò a casa perdonato, non perché era più onesto del fariseo, ma perché si apre < come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento> a Dio che entra in lui, con la sua misericordia. Nella terza Domenica di Ottobre celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale: lo slogan di quest’anno è: “Vite che parlano”. Scriveva nel suo diario Rosario Livatino: “Alla fine dell’esistenza, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili”. Il testimone, infatti, è colui che, scoprendosi amato infinitamente da Dio, “narra ciò che ha visto, toccato e udito, con l’autenticità della vita, nell’ordinario dell’esistenza, testimonia quella passione per l’uomo che abita il cuore di Cristo che , nelle trincee della storia, con tenerezza desidera aprire squarci di pace, suscitare bagliori di giustizia e profumare di fraternità la vita di tutti” (Mons. G.Satriano).
Chiediamoci: Nella preghiera apro il cuore umilmente al Signore perché Lui penetri e mi doni la sua misericordia e la sua bontà?
Preghiera: O Vergine Maria, modello della Chiesa “in uscita” e docile allo Spirito Santo, aiutaci ad essere degli autentici testimoni, credenti, ma soprattutto credibili.

print