Isaia 66,18b-21
Salmo 116
Ebrei 12,5-7.11-13
Luca 13,22-30
Quella casa della gioia con la porta stretta
Nella prima Lettura il profeta Isaia, che parla in nome e al posto di Dio, ci annuncia che la salvezza è dono per tutti, per le persone di casa e per lo straniero; non vi sarà più un culto finto, ma un legame affettuoso con Dio, nato nel dialogo e nella relazione. Nella seconda Lettura l’autore della Lettera agli Ebrei ci dice che la fatica, il dolore, le esperienze impegnative della vita non sono punizioni, ma hanno valore nella misura che sono accolte con un cuore di discepolo, che si lascia plasmare con fiducia dalle sapienti mani di Dio. Il Vangelo di oggi ci presenta Gesù che passa insegnando per città e villaggi, diretto a Gerusalemme, dove sa che deve morire in croce per la salvezza di tutti noi. In questo quadro, si inserisce la domanda di un tale, che si rivolge a Lui, chiedendo: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,23) e Gesù risponde: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non vi riusciranno” (Lc 13,24). Con queste parole Gesù fa capire che non è questione di numero, non c’è il “numero chiuso” in Paradiso! Ma si tratta di attraversare fin da ora il passaggio giusto, e questo passaggio giusto è per tutti, ma è stretto. Ci parla della porta stretta. In che senso? Nel senso che per salvarsi bisogna amare Dio e il prossimo, e questo non è facile. L’amore è esigente sempre, richiede impegno, anzi “sforzo”, cioè una volontà decisa e fedele per vivere secondo il Vangelo. San Paolo lo chiama “il buon combattimento della fede” (1 Tim 6,12). Poi Gesù racconta una parabola. C’è un padrone di casa, che rappresenta il Signore; la sua casa simboleggia la vita eterna, cioè la salvezza; e qui ritorna l’immagine della porta. Gesù dice: “Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: “Signore, aprici”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete” (Lc 13,25). Queste persone allora cercheranno di farsi riconoscere: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze” (Lc 13, 26). Non basta mangiare Gesù, occorre farsi pane per gli altri, non basta essere credenti, dobbiamo essere credibili. E la misura è nella vita. “La fede vera si mostra non da come uno parla di Dio, ma da come parla e agisce nella vita, da lì capisco se uno ha soggiornato in Dio” (S.Weil). Il Signore ci riconoscerà soltanto per una vita umile, una vita buona, una vita di fede che si traduce nelle opere.
Chiediamoci: Sono convinto che la fede è profondamente incarnata nella vita? Mi sforzo e mi impegno a rendere credibile la mia giornata con gesti concreti di carità, di attenzione, di responsabilità?
Preghiera: O Maria, Porta del cielo, aiutaci a passare attraverso la porta stretta che è Gesù, porta del cuore di Dio, cuore esigente, ma aperto a tutti noi.